| Sì, proprio lui. L'uomo dai tanti mestieri e tanti nomi che si firmava Alexander Lenard, 
          Alessandro Lenard, Alexander Lenardius o Sándor Lénárd. 
          Ognuno di questi nomi si riferisce ad una persona diversa: Alexander 
          è lo scrittore inglese, amico di Robert Graves oppure il poeta 
          di lingua tedesca dalla voce fine, malinconica e classicheggiante. Lenardius 
          è il famoso latinista, traduttore di Winnie ille Pu, la versione 
          latina della storia di Milne. Alessandro è il dottore romano, 
          pubblicista di libri scientifico-divulgativi. E Sándor? E' naturalmente 
          l'autore di due romanzi autobiografici in ungherese che raccontano la 
          vita quotidiana del dr. Alexander, il medico tedesco dei coloni in una 
          valle sperduta nel sud del Brasile.
 
 Ma Zio Alessandro?
 
 Era dopo la guerra. Lenard era arrivato a Roma nel 1938, fuggendo da 
          Vienna dopo l'Anschluss, per iniziare una nuova vita. Scrive in Storie 
          romane (Római történetek, trad.it. Magda Zalán):
 "Incominciare una nuova vita! Chi non ha deciso una volta almeno 
          di volere iniziare una nuova vita? Solitamente ci si entusiasma all'idea 
          di una nuova vita dopo la predica domenicale. O quando il medico ti 
          avverte che questa volta i risultati dell'esame del sangue sono negativi. 
          Oppure quando dice adesso è guarito però stia attento 
          la prossima volta! Oppure quando decidi di prendere lezioni d'inglese 
          o di smettere di fumare... Ma per la nuova vita - e quest'ultimi lo 
          sanno bene - ci vuole ben altro: un intervento più doloroso. 
          Non bastano nemmeno un paio d'anni in galera o in un monastero. Se vuoi 
          iniziare una nuova vita prendi la tua valigetta e va' in un paese sconosciuto. 
          Per maggior sicurezza non portare con te denaro, perché col denaro 
          si finisce prima o poi col ricomprarsi la vecchia vita: acquisterai 
          di nuovo i tuoi libri preferiti, gli amati spartiti, ti metterai a scrivere 
          lettere ai vecchi amici, arrederai la tua stanza come ti piaceva. . 
          Avrai la scrivania con la lampada come a casa, userai lo stesso inchiostro 
          di prima, prenderai la stessa medicina, aspetterai la fioritura della 
          stessa pianta che avevi una volta. Sulla parete il ritratto dei tuoi 
          genitori, ti seguiranno i tuoi vecchi diari. Dagli oggetti che una volta 
          ti accompagnavano e ti erano fedeli servitori, risorgerà la tua 
          vecchia vita e soffocherà quella nuova.
 Se vuoi iniziare una nuova vita devi finire prima la vecchia. Devi morire 
          per rinascere. Devi imparare balbettando la nuova lingua e, con le nuove 
          parole, le nuove metafore, devi imparare nuove poesie se vuoi citare 
          un verso. Devi imparare che la farmacia ha un odore diverso. Altre sono 
          le parole gentili, altri sono i tabù. Devi gridare in un modo 
          diverso se ti pestano un piede. Se hai fame ti sogni altri cibi. Se 
          guadagni denaro saranno nuove cifre a dirtene il valore.
 All'età di ventott'anni è già difficile iniziare 
          una nuova vita. Si hanno già le radici, si è già 
          imparato qualcosa, forse si è già arrivati a qualcosa. 
          Si ha un capitale: gli amici, la fiducia dei bottegai, una lingua di 
          cui si conoscono tutti i segreti e con la quale sembra di poter descrivere 
          perfettamente il mondo conosciuto. Se uno è filosofo ha già 
          pronte le basi del suo sistema. Se è un poeta già ha trovato 
          la propria voce. Se fa il calzolaio ha già i suoi contatti. Le 
          ferite si rimarginano più lentamente di quando aveva diciott'anni. 
          Nelle vene già gli si formano piccole macchie sclerotiche e le 
          cornee ormai sono meno elastiche. Ha già superato i grandi amori, 
          o almeno così crede, è affezionato alle proprie abitudini, 
          agli scrittori preferiti, alle passeggiate preferite. Non è bello 
          ricominciare da capo."
 
 Eppure doveva ricominciare da capo. Pur essendo medico, non potè 
          avviare la pratica, visse con mestieri di fortuna, misurando la pressione 
          sanguigna in farmacie, visitando pazienti bisognosi di iniezioni, facendo 
          traduzioni e correzioni di testi medico-scientifici. Questo periodo 
          della sua vita, dal '38 al '43 è raccontato nel romanzo autobiografico 
          Storie romane. Lo scrittore tace invece del periodo seguente 
          che comprende i tempi della Resistenza quando, assieme alla giovane 
          moglie Andrietta, la Diana del romanzo, aiutava partigiani e ufficiali 
          alleati nelle missioni e nella fuga, tace sugli anni della dopoguerra, 
          fino all'emigrazione in Brasile nel 1951. A parte di alcuni piccoli 
          episodi, gli eventi di questi anni non vengono menzionati in nessuna 
          delle sue opere.
 
 Nell'immediato dopoguerra, con l'aiuto dei suoi ex compagni della Resistenza, 
          iniziò a collaborare ai giornali "rossi". Pubblicò 
          articoli di divulgazione medica ne L'Italia Socialista e ne Il 
          Mondo, condusse una rubrica di consigli grafologici ne La Settimana 
          e raccontò le favole udite da suo padre alle lettrici di Noi 
          Donne, firmando, appunto, come Zio Alessandro.
 I punti fermi della sua vita, le risorse a cui attingeva nei momenti 
          di disperazione erano la sua madrelingua, l'ungherese, il ricordo della 
          sua infanzia e di suo padre. Le favole di Zio Alessandro sono quelle 
          di Jenő Lénárd, favole orientali incantate che raccontano 
          di Nasreddin Hodja, dell'elefante e i sette ciechi o del saggio Mehmed 
          Bey, che, dispensati i sui consigli, sorseggia il suo caffé, 
          lo stesso caffé che per Lenard è sempre stato il simbolo 
          della pace e del benessere perduti con l'infanzia e mai più riconquistate, 
          nemmeno nella casa invisibile nella valle di Dona Irma, nel sud del 
          Brasile.
   
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